ApProfondiMenti
articoli e saggi (online) di Anima e Polis

Il senso profondo delle cose
Per una terapia filosofica dell’Anima
di Daniele Cardelli

Perché siamo nati? Perché dobbiamo morire? C’è qualcosa oltre la morte? E se sì, cosa. Che senso hanno le cose della vita? Tutte quelle che ci vanno di traverso proprio quando avevamo sperato in un successo oppure quelle che a cui tenevamo tanto? Evidentemente c’è qualcosa che desidera e qualcos’altro che risponde negativamente al mio desiderio. Sono due cose allora? Il desiderio e il desiderio frustrato e negato? Eppure tante volte invece i miei desideri sono stati appagati. Cosa sono dunque in realtà? Cosa sono davvero? E poi, cos’è la realtà ed esiste qualcosa davvero? Esistono il vero e la verità?
Continua a leggere in PDF >> Il senso profondo delle cose

La forza di una visione
La nascita della Libera Università Junghiana
di Daniele Cardelli

Ciò che dà forza ad un uomo, che gli dà energia per ogni tipo di impresa, è la Sua visione, le sue Idee. “Difendi la Tua idea” e “La forza delle idee” canta non per caso Renato Zero. Oggi vogliamo esporre le nostre e la nostra visione, e vogliamo farlo proprio in questa sala, la Sala Spadolini, in cui il 10 Ottobre 2003, è nato, con una conferenza dall’eloquente titolo “Jung e la politica”, il Circolo Carl Gustav Jung di Firenze e della Toscana; un titolo eloquente, quasi a preconizzare l’importanza che, nel corso degli anni ha rivestito, sia per la vita del Circolo, sia per la costruzione della sua identità, il nostro lavoro di analisi della politica e degli scenari internazionali, un’analisi profonda dei nostri tempi, attraverso i miti, i simboli, nella costante ricerca degli archetipi di riferimento delle nazioni, dei luoghi e delle comunità, delle diverse realtà politiche; del resto proprio i luoghi come questo ci consentono di ricordare quegli emozionanti ed iniziali momenti, offrendoci anche la possibilità di poter condividere, ripercorrendo le tappe fondamentali di una progressiva costruzione e presentando le creazioni realizzate sin qui, la gioia di un Viaggio, il nostro, in questi primi 4 anni e mezzo dalla nascita.
Continua a leggere in PDF >> La forza di una visione

I fondamenti della Filosofia del Sé
di Daniele Cardelli

La Filosofia del Sé si pone come principale obbiettivo, chiaro ed evidente, com’è nel suo nome, di rispondere ad un bisogno, avvertito sempre più fondamentale, soprattutto in questi tempi, il bisogno di conoscersi. Questa disciplina, il cui nome (Filosofia del Sé = Amore per la sapienza di Sé), sorge dall’estensione letterale dell’oracolo delfico “Conosci te stesso”, nasce per dare risposte (socraticamente, maieuticamente, cioè creando nuove domande) al bisogno di conoscenza di Sé (autoconoscenza), riconoscendo il bisogno di conoscersi, finalmente nella sua piena distinzione, separazione, autonomia, dal movente sintomatico e psicopatologico (come del resto ci si presenta nell’esperienza pratica quotidiana). La Filosofia del Sé (Selfphilosophy) ripristina quell’antico rapporto diretto e personale maestro-allievo (Paidèia, educazione individuale dell’Anima), decisivo alla propria individuazione, come al raggiungimento della propria autorealizzazione, partendo dalla crisi e riconoscendola come motore della trasformazione, in una prospettiva che riconosca finalmente il lungo viaggio analitico nella sua natura più essenziale ed autentica, cioè come archetipo dell’iniziazione alla sapienza.
Continua a leggere in PDF >> I fondamenti della Filosofia del Sé

Come rivedere la luce in fondo al tunnel
una lettura in senso filosofico e mitologico della crisi
di Daniele Cardelli
(articolo pubblicato il 14 Gennaio 2012 su stamptoscana.it)

Sulla crisi economica che sta avvolgendo il nostro paese leggiamo e sentiamo molto, tutti i giorni, ma tendiamo sempre a svolgere una lettura “causalistica”, tendente cioè a rintracciare le cause della crisi facendo un percorso a ritroso, operando come nell’approccio più classicamente freudiano della psicoanalisi, o cercando di rintracciare una colpa, o più colpe morali, da espiare, com’è proprio, fin dall’antichità, di alcune tradizioni filosofiche non meno che di alcune esegesi di tipo spirituale.
E se la crisi, anziché essere soltanto il prodotto di alcune errate interpretazioni, o di più o meno colpevoli malefatte, fosse invece anche la molla, la leva e la levatrice di un nuovo parto e quindi di un nuovo partire? Il termine “crisi” nelle varie lingue significa spesso “trasformazione”, “cambiamento” (ad esempio nel greco antico), l’ideogramma cinese per dire “crisi” ne contiene due altri che significano “pericolo” e “opportunità” (opportunità quindi anche), la radice di “crisi” ha la stessa dell’inglese “crash”, che vuol dire rottura. La rottura può necessitare sì di una mera riparazione, ma anche e forse più spesso di un vero e profondo cambiamento, di una nuova generazione, l’arrivo di una nuova era dell’esistenza individuale e/o collettiva. Letteralmente poi, cercare i perché di un fenomeno non vuol dire cercarne le cause, ma cercarne appunto le finalità, con il prefisso “per” che indica “per-ché cosa”, “a quale scopo, a quale fine”. Non è indietro, o soltanto indietro, che dobbiamo guardare, ma porci piuttosto la domanda: a quale scopo, per-ché, viviamo questo momento di crisi e quali sono i problemi su cui lavorare per uscirne migliorati?
Ecco sta qui il nucleo essenziale di una lettura in senso finalistico, teleologico, della crisi, caratteristica dell’approccio junghiano, che affronta i problemi qui e ora e guarda avanti, perché è solo sul presente e sul futuro che possiamo lavorare per migliorare la propria condizione.Tale lettura filosofica legge le cose in senso paradossale, al contrario – il paradosso diventa la regola – e il male può anche portare un bene più grande, o comunque aiutarci a capire di più, ampliando la coscienza.Vedere la luce, la fine del tunnel proprio mentre si è nel pieno delle difficoltà, non è affatto facile: richiede fra l’altro l’attivazione di qualità dell’anima spesso trascurate, come la fede e il coraggio, necessarie per attraversare le asperità, i deserti, le valli oscure e i connessi momenti di tribolazione.
Tra i portati di questa crisi emergono, insieme a sofferenti rinunce, dolorosi sacrifici – letteralmente “fare sacro” – e a pericolosi reati – furti, rapine e scippi – dovuti sempre più al bisogno e alla necessità, anche rilevanti novità: una maggiore sobrietà nei costumi, una maggiore attenzione alla gestione della cosa pubblica, un’attenzione rinnovata verso idee che vedono l’impresa non più collegata al solo profitto – dare del profittatore a qualcuno nel linguaggio corrente è perlomeno una denigrazione, come può essere una cosa positiva nel mondo economico? –, quanto piuttosto alla propria autorealizzazione. Del resto uno fa e s’impegna in qualcosa (la propria impresa, attività, o professione) prima di tutto per realizzare i propri talenti e le proprie naturali vocazioni e inclinazioni, per sentirsi felice di offrire agli altri ciò che sa fare e non soltanto per profitto (come invece vorrebbero vetuste e sbagliate idee, alle radici del capitalismo dei due secoli precedenti). Il tema del lavoro ritorna così al centro dell’agenda della vita politica e sociale del nostro paese (e non solo del nostro), come vediamo proprio anche nelle cronache di questi giorni e come vorrebbe l’illuminato articolo 1 della nostra carta costituzionale.
Crediamo che questo momento voglia farci riflettere su una vita troppo impostata su una visione del tutto facile, easy, subito e veloce, con percorsi di studio finalizzati esclusivamente al conseguimento del titolo (invece che sul desiderio autentico di conoscere e prepararsi) e basati sul fregare il professore di turno, magari con telefonini collegati ad internet sempre più tecnologicamente avanzati – una volta alle università c’erano, all’interno dei corsi, per chi voleva approfondire una o più tematiche, dei seminari (tenuti quasi sempre dagli assistenti) e motivati dalla curiosità per la materia e gli argomenti trattati; oggi non ci sono più! -, al solo servizio di strategie dell’opportunismo; il nostro auspicio e la nostra sensazione è che tra i prodotti positivi di questo momento, oltre ad una rinnovata solidarietà – è proprio nei momenti di difficoltà che si scopre che ci si può fare meglio, o soltanto, aiutandosi -, sobrietà ed una maggiore consapevolezza della limitatezza umana – di cui sempre bisognerebbe tener di conto -, ci sarà un forte ritorno all’indagine interiore, profonda e autentica, ad una ripresa di cura dell’Anima – gli esseri umani di oggi, almeno nel cosiddetto mondo avanzato, hanno e conoscono le tecnologie, ma hanno perso e non sanno quasi più niente dell’Anima. Il rapporto con l’Anima sembra lento, troppo, per quello invece velocissimo delle tecnologie e del tutto immediatamente disponibile e non ci rendiamo conto che è proprio qui che risiede il problema! Le cose interiori, come la sfera affettiva, ad esempio, per non parlare di dimensioni come la spiritualità e la religione, non possono essere gestite bene dalla velocità di internet. Il rapporto con l’interiorità, con l’Anima, è il solo capace di risolvere i problemi esistenziali, alla radice: è un invito chiaro e forte ad un ritorno alla potenza taumaturgica della ricerca su di Sé e a domandarsi sulle cose – “una vita non posta in esame, non vale la pena di essere vissuta” Socrate – , con un abbandono progressivo di tutti quei prodotti figli di una visione easy e superficiale della vita, come gli psicofarmaci, ad esempio, che tentano di eliminare i sintomi disturbanti anziché risolvere i problemi veri. Del resto è proprio questo mondo sempre più veloce e tecnologico che è in crisi, ora!
Molti e profondi saranno i portati di questo periodo di Notte che è la crisi e del resto, si è mai visto un giorno – la stessa parola “giorno” indica sia la parte luminosa, sia l’intero giorno di 24 ore – senza la corrispondente Notte (Nyx del mondo greco)? No, non s’è mai visto. E se, come la notte per il giorno, le crisi nella vita individuale e collettiva fossero ineludibili ed inevitabili e proprio per questo andassero lette in senso paradossale, cioè come il negativo (la pellicola) di un film, o come le matrici di un periodo migliore e più luminoso che sta arrivando? Gli autentici cercatori si diano davvero da fare ora per cercare sì i motivi e le cause di questo disagio, ma anche le soluzioni e le terapie efficaci per il nuovo giorno: le prime non sono dissociabili dalle seconde; è ora il momento di capire la frase della bellissima “Prospettiva Nievskji” di Battiato “…il mio maestro m’insegno com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire…”. Tutto ad un tratto un nuovo filo d’erba spunterà sul campo fangoso, freddo e bagnato di rugiada della notte e un raggio di luce tornerà a riscaldare ed illuminare le nostre prospettive di vita. I periodi bui e di crisi sono spesso passati così, tutto d’un tratto, un giorno, inaspettatamente, quasi senza avvertimenti (o spesso con meno avvertimenti di quanti ve ne siano per le entrate nei periodi di crisi) e le ragioni, proprio perché di natura spirituale, spesso ci sono note soltanto dopo, o molto dopo, l’uscita dal tunnel.

Il mito di Heidi
una lettura simbolico archetipica
di Daniele Cardelli

Suonavano le campane quella Domenica mattina al Dorfli[1] quando Heidi, con il suo sorriso radioso, scese dal treno, rivedendo commossa le sue montagne, il Suo mondo.
Apriamo così, con le guance rosse e radiose di Heidi, con la radiosità di quel Sole rosso portafortuna cui somigliano le sue guance e di cui si trovano elementi, insegne, simboli, in tutti i villaggi, vie, edifici della Confederazione[2].
Heidi – forse abbreviativo di Adelaide, ma anche del nome mitologico norreno di Heidrun[3], la capra che bruca la chioma dell’Yggdrasil, l’albero del mondo della mitologia scandinava e dalle cui mammelle vengono prodotti birra e idromele versati dalle Valchirie ai guerrieri nel Walhalla – rappresenta la gioiosità di vivere in rapporto diretto con la natura maestosa e bella delle montagne, con il loro richiamo tutto verticale, ascensionale, alla Spiritualità, al Sacro, al Sé (la città produce in Heidi malinconia e depressione), la radiosità solare, la chiarezza – Klara nella favola è forse non casualmente l’amica più stretta di Heidi: Klar in tedesco vuol dire “chiaro”, come Clarus in latino, che rammenta il Cantone di Glarus, foneticamente quasi identico, con la chiarezza del voto palese delle Landsgemeinden, dove le deliberazioni politico amministrative vengono prese per alzata di mano, davanti a tutti, nella piazza centrale – la schiettezza e la candida genuinità (quasi ingenuità) di un mondo naturale e incontaminato capace di ridare a Klara, miracolosamente, la possibilità di camminare nuovamente.
Il cognome Seseman, quello di Klara e della Sua famiglia, è probabilmente un’allusione al Selbst (in italiano appunto), la totalità e il nucleo centrale della personalità per Carl Gustav Jung, cui si giunge necessariamente con un non sempre facile e talvolta doloroso ampliamento della coscienza, una mortificazione dell’io iniziale (“violenza del Sé sull’io” dice testualmente Jung), attraverso maturative esperienze di sacrificio e sofferenza (quelle che prova Heidi andando in città, che provano le due bambine separandosi per poi ritrovarsi).
La capra Nerina rappresenta il nero della Nigredo – la prima fase dell’Opus alchemicum, da cui tutto parte, contatto con la “prima materia” da cui prende inizio il processo di consapevolezza di Sé -, la capra Bianchetta allude invece al bianco dell’Albedo alchemica, o seconda fase dell’Opera filosofica del Sole (come viene anche chiamata), quella della rinascita: il bianco che viene dal nero, termini opposti ed inseparabili di ogni processo psichico. Le capre sono del Dio greco Pan, da cui anche il termine Panico[4], raffigurato con pizzo di becco e piedi caprini, ma che nella favola di Apuleio[5], salva – e lo fa proprio questa divinità fra tutte quelle che s’incontrano nel racconto – ben due volte psiche dal suicidio. Peter è l’amico di Heidi, il suo compagno di giochi, di avventure ed esperienze, fra i monti e gli animali – le parole “animale” ed “Anima” sono pressoché identiche –: le capre e il cane Nebbia, la nebbia dei monti che dissolvendosi fa sorgere la chiarezza e nitidezze di panorami mozzafiato. Peter, Pietro in italiano, è legato al termine pietra, da cui prende certamente origine – la “pietra filosofale”, il “Lapis filosofico”, “su questa pietra fonderò la mia chiesa” -, il nome del primo papa cattolico – da oltre 500 anni accompagnato dalle famose guardie svizzere -; il termine “papa” deriva probabilmente, con il doppio prefisso “Pa”, da “Pater Patrum”, “il padre dei padri”, il papa mitriaco, il primo pastore, il grado più elevato, la guida della chiesa mitriaca – e Mitra nel mito nasce proprio da una roccia, o pietra, Petra generatrix -; Peter non casualmente nella favola guida le greggi, rappresentando colui che indica la direzione a chi si trova nel gregge dell’Inconscio collettivo; il pastore, che è fuori dal gregge (nella lingua italiana, la parola “egregio”, dal latino ex-gregium, significa letteralmente “fuori dal gregge”), forse più in alto, che vede più in là, più conscio, ha il valore simbolico della guida, lo stesso del parroco (padre) delle comunità religiose.
Il nonno di Heidi, che vive da solo in una baita di montagna, definito dagli abitanti della valle scorbutico e chiuso – tratti che non di rado vengono attribuiti a molti che vivono in solitudine nelle huette, o baite di alta quota -, con la scelta della solitudine, rappresenta il distacco della persona anziana dal mondo e da quello sociale in particolare, non solo come progressivo sentire della fine dell’esperienza terrena, ma anche come terapia postraumatica per le delusioni provate nelle esperienze con gli altri, come istanza e forte desiderio di introspezione[6], fondamentale per la conoscenza interiore e la cura dell’Anima: qualità attribuite alle popolazioni che vivono sulle Alpi, caratteristiche presenti nei tratti degli elvetici, insieme a quella opposta dell’apertura, riscontrabile in una cultura politica che, come probabilmente nessuna altra, è stata in grado di armonizzare lingue, culture e tradizioni molto diverse, individuando una formula di governo – “la formula magica” – capace di rappresentare e coinvolgere tutte le forze politiche maggiori e, pilastro di ordine, pace e stabilità sociale, includere le culture e le confessioni più presenti e rappresentative.
Entrambi questi atteggiamenti (di chiusura e di apertura) sono non soltanto della Svizzera e degli Svizzeri, ma come opposti, sebbene declinati con lineamenti differenti, anche di tutte le personalità individuali non meno che di tutti popoli; l’Orso, forse per eccellenza l’animale simbolico totemico della Confederazione – la cui capitale Berna trova il suo nome proprio da Baer, in alto tedesco e antico norreno Orso (anche simbolo del Cantone di Appenzello Interno, Appenzell Innerhoden) – presenta nella mitologia queste stesse caratteristiche; come effige di sapienza, intelligenza e forza del capo (le capitali spesso portano questo animale come simbolo: es. Berna, Berlino), l’orso si presenta come animale dalla personalità temuta e indecifrabile proprio perché si mostra talora con atteggiamenti di chiusura e scontrosità, talaltra, talvolta quasi contemporaneamente, con atteggiamenti di giovialità e apertura. Un’altra figura importante della favola è la nonna di Peter che accoglie Heidi in modo non soltanto affettuoso e comprensivo, ma anche sapiente; come l’indovino Tiresia del mito greco, che viene reso cieco dagli Dèi, ma a cui viene concesso, per compensazione, il formidabile dono della preveggenza (vedere prima senza poter vedere fisiologicamente), anche la nonna di Peter è non vedente eppur saggia e sapiente: una rappresentazione della sapienza dell’anziano che si ritrova, con caratteristiche più maschili, anche nella figura del nonno di Heidi. La nonna di Peter è un’incarnazione dell’Anima esperta, un’espressione di quella sapienza che viene dall’esperienza, con l’avanzare dell’età.
La figura della zia Dete invece, che con modi bruschi porta Heidi dal nonno sull’alpe, rappresenta, al contrario, la nevrotica inquietudine e l’acidità di chi cerca e si muove con prospettive erratamente egoistiche.
Eravamo partiti dal treno, mezzo elvetico per eccellenza, quasi simbolo nazionale – la Svizzera è il paese che ha più chilometri di ferrovie al mondo -, con le stazioni e i suoi immancabili orari e quindi con le connesse necessità di puntualità e precisione, nel paese degli orologi e dei cronometri, come evidente e chiaro legame archetipico con Crono (da cui la parola Cronometro)-Saturno, Zervan – la Divinità del Tempo, ma anche della pace, della stabilità e dell’ordine sociale, l’età dell’Oro (Orologio); valori e caratteristiche, che come abbiamo detto, sono della vita politica e sociale della Confederazione – rappresentato spesso come un vegliardo dalla barba bianca e più raramente nei panni di un fanciullo (gli opposti del Tempo e dei cicli della vita).Heidi è una figura eccezionale, divina – motivo centrale della favola stessa -, che, rispetto a tutte le altre figure del racconto e di quelle che incontriamo nella vita, è, del tutto straordinariamente, “una bambina già consapevole”, saggia, responsabile, capace di giudizi e discorsi da adulti, da persona matura.
Heidi è come conscia già prima della necessità delle durezze, dell’importanza della severità delle esperienze che deve affrontare, durante le quali fra l’altro pare come sostenuta come da una “forza invisibile”, una saggezza interiore (l’Inconscio che sa), una responsabilità e una positività straordinarie rispetto alla durezza delle prove, senza quasi mai manifestare i lamenti, i capricci e le resistenze che sono non soltanto dei bambini, ma anche non di rado degli adulti e di tutti noi nella vita.
Tutti questi elementi si ritrovano nella favola di Johanna Spyri, proprio come si ritrovano nei tratti più caratteristici del mito elvetico e come riferimenti spirituali del culto Mitriaco: il valore della parola data, della puntualità, dell’affidabilità, della stretta di mano, del giuramento, dei patti; per queste ragioni, quella di Heidi, è probabilmente la favola Svizzera per eccellenza.
Attraverso la metodologia dell’analisi simbolica e semiologica, spesso ricorrendo all’analogia fonetica e di significato dei nomi – nomi come elementi del Processo d’Individuazione[7] come sosteniamo spesso[8], “Nomen omen”[9] solevano ripetere i latini – abbiamo individuato diversi spunti per comprendere non soltanto le figure e le vicende della favola, ma anche i tanti fondamentali e significativi accostamenti, come nella composizione di un puzzle, tra la favola e il mito svizzero.

[1] Dorfli, letteralmente “piccolo paese”. La piccola dimensione dei villaggi montani, dei suoi paesi, è da sempre una caratteristica della Svizzera, una tipicità del suo mito; è sulla piccola dimensione – “piccolo è bello” si dice, ma anche funzionale, aggiungiamo volentieri – infatti che la Svizzera si basa e trova alimento fin dalla sua fondazione; nel Giuramento del Gruetli i tre Waldstaetten rappresentano tre piccole comunità, tre Cantoni di montagna: è nei villaggi sulle alture e nelle valli che origina la storia svizzera, non nei grandi agglomerati delle città. In questo fondamentale ingrediente della relativamente piccola dimensione risiede anche il segreto dell’eccellente qualità e della cura differenziata dei servizi che rende positivamente famosa la Svizzera e accompagna la sua immagine nel mondo.
[2] A questo proposito, ad esempio, nomi come “hotel Sonne”, “Sonneweg”, “SonnenStrasse” si trovano, come costante (addirittura in misura maggiore che nei paesi mediterranei: un legame spirituale con il Sole è diverso da un legame naturale), praticamente in tutte le località dei Cantoni di lingua tedesca, dove fra l’altro la favola di Heidi è stata ideata e scritta.
[3] Diversi sono gli elementi che depongono in favore dell’ipotesi di una migrazione che per carestia spinse alcune popolazioni dall’attuale Svezia (anticamente Suecia) fino ai luoghi dell’attuale Svizzera (dal nome del Cantone originario Schwytz, Svitto in italiano, foneticamente associabile anche con “invitto”, invincibile, attributo del “Sol Invictus”; talvolta all’inizio delle parole e può essere anche questo il caso, la “s”, come il prefisso “in”, significano il contrario di quel che segue: es. in-adatto, in-vincibile; Svitto equivarrebbe qui pertanto ad “INVITTO”, “invincibile”); la somiglianza di questi nomi (Svezia, Suecia, Svizzera) è ritenuta infatti da più di qualcuno non casuale, come potrebbero non essere casuali i nomi di chiara origine scandinava, come Heidrun appunto, di molti che vivono soprattutto nella Svizzera tedesca. Vi è certo un legame profondo della Svizzera, per ragioni geografiche ed etnoantropologiche di quella tedesca forse in particolare, con il mondo norreno.
[4] Il Panico, che prende il nome da Pan (Pan è collegato anche a Paian che vuol dire “tutto”: si vedano i termini “pan”orama, “pan”europeo, “pan”asiatico, etc.., dove il prefisso “pan” sta per “tutto”), è, in una lettura archetipica, sì un’espressione sintomatica fastidiosa, ma anche uno stato d’animo protettivo rispetto alla paranoia; James Hillman, “Saggio su Pan”, ed. Adelphi, Milano.
[5] Lucio Apuleio, La favola di Eros e Psiche, ed. Demetra, 1993, Varese
[6] I termini Introverso ed Estroverso sono stati coniati dallo psicoanalista svizzero Carl Gustav Jung per esprimere le due tendenze opposte della coscienza.
[7] Il “Processo d’Individuazione” è stato così chiamato e definito da Carl Gustav Jung come il percorso di consapevolezza psichica verso il proprio Sé.
[8] Alla nostra Scuola Master Internazionale di Studi sull’Anima a Firenze – www.cgjung.it
[9] ”Il nome è un presagio”.
INTERVISTA DELLA RSI, RADIO SVIZZERA ITALIANA, A DANIELE CARDELLI SUL MITO DI HEIDI
Edizione delle ore 17.50 del 10/12/2015

Le parti e il tutto
Riflessioni sull’essenza della politica, i partiti e l’etica della responsabilità
di Daniele Cardelli
(articolo scritto il 30 Maggio 2013)

In un momento così grave per l’economia, la situazione politica uscita dalle elezioni dello scorso 25 Febbraio appariva tra le peggiori possibili – e almeno un attimo si rifletta sui tempi decisamente troppo lunghi dei passaggi istituzionali tuttora ancorati a ritmi e ritualità del passato: ci sono voluti più di venti giorni per insediare le camere e ben due mesi per dare, dopo un estenuante e deprimente tira e molla, un’amministrazione (governo) al paese; i problemi invece erano e sono quotidianamente pressanti, se non risolti imputridiscono e certamente non attendono per far sentire i loro effetti nocivi e talvolta tragici (i tanti suicidi dichiaratamente legati alla crisi economica), soprattutto in una situazione disastrosa, qual era quella fino a un mese fa, di ingovernabilità, di tutti contro tutti, fra veti incrociati e reciproci dinieghi. Regnavano incompatibilità e discordia. Che si sia riusciti poi a formare un nuovo esecutivo, lascia poi irrisolta una questione ben più profonda: come si risponde in modo appropriato a bisogni confliggenti come la rappresentatività delle parti e la governabilità di un paese? Checché ne dica Grillo con i suoi anatemi sul “tutti a casa” e “mai alleanze” con i vecchi partiti – ma anche il MoVimento 5 Stelle in quanto parte è un partito, diverso e non tradizionale se si vuole, ma pur sempre una parte, che fra l’altro con queste posizioni di arroccamento tradisce la sempre ventilata portata di aria nuova di proposte utili più al bene generale che ai tornaconti di parte – e pur in un sistema che ha spostato sempre di più l’iniziativa dal parlamento all’esecutivo ed è ancora mancante di strumenti veri e funzionanti di democrazia diretta, resta il parlamento nazionale il luogo non soltanto deputato all’attività legislativa, ma anche alla soddisfazione della rappresentanza politica, alla pacificazione dei conflitti e alla composizione delle diverse istanze.
Il parlamento, soprattutto nelle democrazie come la nostra, che si definiscono non a caso “parlamentari”, resta il luogo centrale, il contenitore entro il quale si giocano, si confrontano e confliggono le più diverse pulsioni. In politica le parti, cioè i partiti, – il termine, per quanto screditato dalla prassi, prende il nome proprio dal riconoscimento, democratico, di essere parti di quel tutto che è l’intero parlamento – rappresentano posizioni diverse e sono animate da idee differenti – troppo spesso però incoerentemente slegate, se non addirittura in conflitto con quegli interessi troppo egoistici e parziali (personali, aziendali, professionali, di categoria) rappresentati in parlamento attraverso un’intensa, quando non degenere e degenerativa, attività lobbystica -, utili, se non indispensabili, per migliorarci la vita; tuttavia queste per diventare praticabili vanno elaborate, trasformate, facendo loro perdere, attraverso il fuoco alchemico, il gravame nocivo dell’assolutezza (ideologia).
Alcuni orientamenti psicoanalitici insistono molto sul conflitto tra parte e tutto, o tra parti della psiche, come potenziali attivatori di nevrosi o di diversi disturbi della personalità, ma anche come potenzialità maturative: a questo proposito Jung usa proprio l’espressione di “violenza del Sé (principio di Totalità psichica) sull’io (parte conscia)” come elemento e motivo decisivo per la trasformazione, la crescita e l’ampliamento della coscienza; lo stesso conflitto che si vive nell’interiorità si ripete nella politica. Questa conflittualità fra le parti è una costante ed ha trovato una notevole celebrazione nella politica italiana con l’acclamazione del “Bipolarismo” – si noti che in psichiatria si usa il termine “Bipolarismo” per indicare un disturbo (appunto “disturbo bipolare”) della personalità – che ispirandosi a sistemi maggioritari e più decisionisti del mondo anglosassone si pensava offrisse anche qui una maggiore cifra di governabilità: si è scoperto invece che l’Italia nel profondo, diversamente da come hanno sostenuto in molti negli ultimi due decenni, ha piuttosto una vocazione proporzionale e fortunatamente, aggiungerei, più pluralistica, più politica. Per sua natura la parte tende a voler diventare tutto, ad identificarsi con esso, in una tendenza all’ampliamento del potere della coscienza che se è positiva come aspirazione, è contemporaneamente molto pericolosa (come inflazione dell’ego) per l’individuo e che traslata nella politica è perfino bene che non si realizzi, onde evitare di finire in una dittatura o in un sistema politico illiberale e autoritario. La parte può meglio contribuire all’individuazione di soluzioni concrete ai problemi riconoscendosi come parte, offrendo così un sacrificio di responsabilità, come quello cui spesso sono chiamati i padri – e forse è proprio la responsabilità dei padri che manca in questo nostro paese spesso troppo egoistico (e quindi probabilmente ancorato ad un archetipo materno), dove non di rado le faziosità della parte si affermano sulla responsabilità del bene comune, anche davanti ai baratri, come abbiamo visto, o in momenti gravi come quelli attuali. Il meccanismo quindi del rapporto fra parte e tutto si presenta più o meno così, in tre fasi: la parte nasce come parte e quando si riconosce tale (io) mira ad ampliarsi e a divenire tutto per poi infine deporre le armi (grazie agli inevitabili insuccessi, indispensabili per il bene generale e di tutti) e riconoscersi come parte. La parte riconoscendosi tale s’inchina al tutto in un atto di umiltà che chi anche non capisse quanto scrisse l’Alighieri sui pericoli della superbia (la frase si trova per l’appunto anche su una targa nella corte di Palazzo Vecchio a Firenze), attesterebbe la conoscenza del limite e quindi quella saggezza fondamentale per governare. Come l’Anima è chiamata a stare in questa tensione, talvolta dilaniante, fra gli opposti, così i partiti (le parti), entrando in parlamento, dovrebbero essere obbligati a confrontarsi. Questo ci conduce dritti dritti a riscoprire il nucleo più autentico e vero, l’essenza stessa della politica: la Politica è l’arte alchemica – scienza la si chiamerebbe nel mondo accademico – della pluralità che si fa uno, che si fa sintesi e decisione, è nella sua massima autenticità e limpidenzza ricerca della soluzione che riconosce e prova a soddisfare le più diverse istanze, le diverse polarità in conflitto e i loro diversi colori (il termine “Politica” si associa al greco “Polius” che vuol dire “Pluralità” e che implica diversità; si pensi del resto alla radice “poli” davanti alle parole poliambulatorio, poliedrico, poliaffettivo, che vogliono dire sempre “più di uno” e “diversi” ambulatori, capacità, affetti, etc…).
Quindi far politica ha anche insiti i mal di pancia del confronto confliggente con l’altro: talvolta è proprio della dimensione stessa questo malsentire e se uno vuol far politica questo deve sapere e metterlo in conto prima di praticarla. Il confronto sgradito con il diverso è in politica, non diversamente dalla vita stessa, una costante, un elemento distintivo e se questo non è accettabile, ci si dovrebbe proprio astenere dal praticarla.
Tuttavia i momenti di disarmonia, quasi di incomunicabilità, addirittura di disgregazione, tra i più delicati della nostra storia repubblicana – e la vicenda dei due Marò, non meno che le quotidiane croniche patologie della burocrazia e della lentezza o totale mancanza di risposte amministrative ai problemi del vissuto, sono esempi chiari di quanto grave possa essere e a quali esiti devastanti per la nostra vita personale, comune e collettiva possa esporre il tutti contro tutti in politica – può dare, come fra due pietre focaie, proprio attraverso la tensione dello scontro che arriva al limite, la scintilla per una ripartenza e una maturazione (talvolta è proprio l’energia psichica che scaturisce dalla tensione fra gli opposti che dà una svolta, l’inizio di un nuovo sentiero, porta ad un nuova luce, nuove idee, soluzioni, regala un’intelligenza superiore). Il percorso della vita, che è iniziatico per natura, ci insegna che nostro malgrado si cresce spesso proprio attraverso le prove e i traumi, sicuramente mai graditi: l’alambicco politico, cioè il parlamento, deve contenere con le sue “mura spesse” la tensione del conflitto fra le parti, obbligando chi vi è dentro al dialogo, confronto-scontro, per un accordo o una maggiore armonia dialettica; solo così, accettando il patimento e la tensione di questo gioco, che è servizio al proprio paese, con questa pressione del tutto verso le parti, può scaturire questa scintilla salvifica che porta all’individuazione di una formula possibile di governo (si veda l’esempio della “formula magica” del sistema politico svizzero). Nel momento più acuto della gravissima crisi politica che abbiamo appena attraversato (e per uscire dalla quale comunque dobbiamo fare ancora molta strada) abbiamo sperato e confidato che Italia da lassù, la nostra Stella, il nostro Daimon comune, ispirasse una scintilla di salvezza, facendo maturare gli attori in gioco (partiti, individui e parlamentari delle varie forze politiche rappresentate) e facendo cessare la proiezione del “diavolo” sull’avversario politico che diventa poi sempre nemico. Ci pare che questa preghiera sia stata accolta, nonostante l’inevitabile tanto cammino ancora da fare sulla strada di un migliore rapporto fra istanze reali – i problemi del vissuto quotidiano delle persone – e la loro soddisfazione o comunque spiegazione, fra le parti e l’interesse generale superiore.
All’ipotesi provocatoria di chiudere in conclave i leaders delle forze politiche presenti in parlamento – sei persone al più (questo il numero dei leaders, o portavoce, dei partiti rappresentati in parlamento), ricordiamolo!, che dovrebbero trovare gli accordi per le migliori soluzioni al bene comune di 58 milioni di italiani – finché non si fosse trovata un’intesa per il governo, noi ora ne aggiungiamo un’altra: nella nuova legge elettorale allo studio si dovrebbe assumere che ogni forza politica che volesse concorrere alle elezioni dovrebbe rispettare come requisito ineludibile e condizione necessaria di essere disposta ad assumersi responsabilità di governo e accettare di confrontarsi per fare alleanze di governo.
Il riconoscimento dell’altro, che prima ancora che principio civico e religioso è questione di sensibilità, è un principio di salute psicologica ed equilibrio e nelle più millenarie tradizioni mediche le due cose equivalgono.
Se sei in parlamento devi perciò, come dice chiaramente la parola, “parlare” con tutti, confrontarti con tutti fino alla soluzione del problema: questa assunzione di responsabilità (letteralmente “l’abilità, la capacità, di rispondere”) renderebbe la politica più credibile – la credibilità e l’affidabilità sono le più vere incisive terapie alla crisi della partecipazione elettorale: l’astensionismo è ora, per la prima volta, il primo partito italiano, dichiarano inequivocabilmente le elezioni amministrative dello scorso 26 e 27 Maggio! – ed eviterebbe di rimandarci a votare facendo spendere alle già esangui casse dello stato – in questi tempi di crisi economica poi! e con tutto quel che ci ripetiamo ogni giorno sull’esigenza di risparmiare soldi pubblici – , altri 390 milioni di euro, tanto sono costate le ultime elezioni politiche, per avere con ogni probabilità un esito che anche oggi, a distanza di tre mesi dal voto politico nazionale, appare se non identico, del tutto analogo.

L’Individuarchia, una nuova idea della politica
Una psicoanalisi della politica, per una nuova filosofia e visione politica
di Antonio Casciano
da un’idea e a cura di Daniele Cardelli

Sempre più di frequente si discute della distanza che si è creata tra la politica e il cittadino: una politica intesa oggi esclusivamente nella sua dimensione pubblica, lontana , vissuta nei “salotti”, nelle stanze del potere, agita tra auto blindate e vere e proprie squadre di guardie del corpo. Il cittadino si è perso in una sorta di ottundimento psichico, come lo ha definito Hillman, ritirandosi in una dimensione prettamente individualista ed egoica, lontano pure dalle cose della città, perso nell’enormità, indifferente alla gestione della propria strada, del luogo in cui vive, desensibilizzato a qualunque stimolo che non sia di carattere individuale. L’ottundimento psichico, come dicevamo, è infatti la strada verso una sterile soggettività che è puro narcisismo. Un’idea di politica che ci appartiene non ha niente a che vedere con la fama, il potere, il collettivo, i numeri e il titanismo tipico di realtà che crescono smisuratamente: oggi sembra che tutto tenda a un allargamento dimensionale del recinto originario, provocando la perdita dell’acropoli, insieme allo smarrimento dei luoghi affettivi e personali: i luoghi che permettono la nostra identificazione, i luoghi in cui dispieghiamo la nostra anima politica.
Continua a leggere in PDF >> Individuarchia

L’evoluzione del motivo del sacrificio
Lo sviluppo della coscienza umana e l’archetipo solare

di Nerina Maria Cecchin

Una delle domande piu’ importanti chieste dall’uomo attraverso le generazioni riguarda il senso della vita. Che senso ha la vita? Il senso della vita ha molto a che fare con una chiamata, il nostro destino, la nostra vocazione, e il processo di Individuazione. Secondo Carl Jung, impegnarsi nella lotta degli opposti—il male ed il bene, il buio e la luce, la profondita’ e l’altezza, e l’Inconscio e la conscienza, che in fine non sono altro che le due parte del Se’ che tirano in direzioni opposte—e’ il compito principale nella vita (Jung 1958/1963, Vol. 11).
Continua a leggere in PDF >> Evoluzione del Motivo del Sacrificio

La Voce dell’Anima
di Nerina Maria Cecchin
è con particolare ringraziamento e riconoscimento a Nerina Maria Cecchin per la preziosa collaborazione, ormai più che decennale, in qualità di Responsabile delle relazioni internazionali e Docente della nostra Scuola, che invitiamo a leggere il saggio qui di seguito (un estratto del quale la dottoressa Cecchin ha presentato al primo convegno internazionale JHAPA di Firenze nel Settembre 2016) in formato PDF La Voce Dell’Anima